Da Marola a Bruxelles, passando per Normandia, Australia e Germania. Lavora per la Casa della Storia Europea presso il Parlamento Europeo. 1000 km di distanza fisica che si azzerano nel cuore.
Sono molto legato all’Appennino. Ogni occasione è buona per tornare e ogni connessione con la mia montagna è attiva. Collaboro con testate on-line e riviste locali e ho fortemente voluto riportare alla luce un illuminato e silenzioso protagonista della politica locale e nazionale che, già dagli anni ’50, saliva in montagna per tenere corsi di educazione civica: Alessandro Carri, un comunista emiliano nelle storie del 900 (Aliberti, 2017). Amo il suo occhio lungimirante e la sua particolare sensibilità per lo sviluppo del territorio montano che ha cercato di concretizzare negli anni del suo mandato di sindaco del Comune di Carpineti.
Moltissimi suoi progetti sono congelati su carta. Quando nella ricerca per la stesura del libro li ho rispolverati, ho avuto un tuffo al cuore: mi sono reso conto di quanto già allora fossero all’avanguardia. Dopo un primo momento di stupore, il mio senso critico ha preso il sopravvento e subito ho percepito che il nostro Appennino è fermo a 20 anni fa.
Sento parlare di economia, di sviluppo del turismo, ma in maniera standardizzata. Nulla di tutto ciò credo possa funzionare nel nostro territorio senza prima aver fatto leva sulle persone del luogo, sulla cultura e sulla storia. Non è solo “nostro” il castello di Carpineti, è un luogo di cultura che appartiene alla storia d’Europa, una importante eredità, uno dei simboli di un’epoca storica e di una donna unica nel suo genere. Abbiamo il dovere di amarlo, conservarlo e comunicarlo. Attraverso l’orgoglio di essere portatori di cultura e di storia, possiamo sviluppare un turismo organizzato e avviare un volano per l’economia, adatto alla nostra terra. Tutto questo è possibile solo dopo essere riusciti a metabolizzare il significato e il valore di questa eredità culturale, che peraltro appartiene a chiunque studi il medioevo, non solo a noi come abitanti della montagna.
Molte delle attività che si sviluppano in Appennino, per qualche strana ragione, finiscono per trovare più ostacoli che sostenitori. A mio avviso è questa la causa che genera l’immobilismo in cui è caduta la nostra montagna.
Se solo ci si impegnasse, senza gelosie, potremmo, ad esempio nel caso del turismo, far sì che ogni visitatore possa trovare soluzioni, proposte e possa decidere di prolungare anche soltanto due giorni la vacanza in Appennino. Cosa significherebbe questo per la nostra economia?
Ci sono tante iniziative ricche di potenziale che si stanno avviando, penso all’associazione della Val Tassobbio o al grande successo delle passeggiate sui sentieri partigiani organizzati da Istoreco. L’elemento bizzarro è che la maggior parte dei suggerimenti parte da associazioni di privati cittadini piuttosto che dalle istituzioni.
Io cerco di essere ambasciatore dell’Emilia Romagna, ma vedo attorno a me che non è sempre così, trovo infatti poco condivisibile il velato anti-italianismo che aleggia tra alcuni italiani all’estero. Sono dieci anni che vivo a Bruxelles e ogni giorno di più il mio senso di appartenenza si rafforza.
L’Appennino Reggiano è una miniera di storia, di cultura, di buon cibo, di natura e di persone vere che è un peccato nascondere al mondo. Non è la bellezza che salverà il mondo, non dobbiamo crogiolarci su questo concetto, ma dobbiamo salvaguardare, organizzare e amare la nostra terra. Abbiamo un passato in cui la vita quotidiana era molto dura, ma in un’Italia bellissima, ora che stiamo bene, rischiamo di rovinare il nostro ambiente per pigrizia.