Esseri fragili che percorrono la vita davanti alla maestosità di un Appennino sempre uguale a se stesso, che cambiano e comprendono. La storia di Nadia che si rispecchia in una montagna ferma, e percepisce di quanto sia cambiata, maturata mentre questa è sempre li, forte ad aspettarla e rappresenta un riferimento fondamentale che l’ha seguita ed aiutata attraverso le varie fasi della sua vita.
I miei genitori hanno deciso di lasciare l’Appennino e di vivere in pianura, sono scesi in città da uno degli ultimi paesi della provincia. Cecciola ha forti legami anche con la Toscana, ma loro hanno scelto Reggio Emilia e i miei primi ricordi consapevoli si legano a questa città.
Il nostro legame con la montagna è sempre stato fortissimo, raggiungere il nonno e il resto della famiglia soprattutto d’estate era l’idea perfetta di vacanza sia per me che per mia sorella, in un paesaggio fiabesco in cui nessun limite temporale o di spazio veniva imposto dagli adulti e la nostra fantasia volava tra boschi infiniti e animali da vivere in un mondo fantastico.
I pranzi immensi del 15 di agosto erano incontri di cibo e di racconti senza tempo, momenti in cui gli adulti si adoperavano per la tavola e l’ospitalità, mentre noi bambini eravamo lasciati completamente liberi di scorazzare per le piazze in giochi infiniti, corse, polvere e sudore.
Nel corso degli anni ci sono state diverse tragedie familiari e questo ci ha reso ancora più uniti, vicini e trasformati in una vera e propria famiglia allargata dove l’accoglienza nei cuori e nelle case nei momenti di difficoltà ci ha unito ancora più di quanto fossimo.
Nell’equilibrio fragile di un’adolescente queste vicende mi hanno segnata moltissimo e il rapporto viscerale con i luoghi e con la famiglia mi hanno portato a rifuggire tutto e tutti e allontanarmi il più possibile, anche fisicamente.
I pranzi pantagruelici del 15 di agosto obbligavano a riunioni interminabili, noiose imposizioni da cui non potevi sottrarti o allontanarti, e che per una ragazza come me, risultavano infiniti e irritanti.
La nascita dei miei figli ha segnato un vero e proprio richiamo alle radici. Affettivamente non ho mai abbandonato l’Appennino, c’è sempre stato quel fil rouge che ha rappresentato una forte identità e che mi ha accompagnato attraverso tutto il percorso di vita.
I ragazzi ora sono grandi e autonomi, e continuano a frequentare Cecciola, con amici, e probabilmente un domani lo faranno con i loro figli.
Ci vuole un grande rispetto verso luoghi così fragili, che tali non sono perché mi rendo conto che fragili siamo noi esseri umani al cospetto di una montagna che nel tempo è sempre uguale a se stessa ma ogni volta diversa, sicura e ferma nel tempo. I paesaggi, l’ambiente, le usanze e i ritmi sono molto legati a come io per prima sono cambiata e maturata.
Ora, nella maturità piena ho compreso quanto sia importante per me questo luogo, di come mi permetta di staccare e rallentare per ritrovare l’equilibrio. Sento fortemente di dover contribuire ad arricchire e portare le mie conoscenze come se avessi un debito d’onore verso questi luoghi.
Crescere, maturare è vedere le cose sempre con occhi diversi e vivere con intensità differenti: siamo noi a cambiare e a vivere diversamente quella realtà sempre uguale a se stessa.
I meravigliosi pranzi del 15 di agosto ora li organizzo io, mi prendo cura di quel momento conviviale e invito amici e famiglia. Non è semplice condivisione di cibo, ma è valore aggiunto: il ciclo della vita.